Garage Scighera

Amiche e amici,
Oggi vi voglio raccontare una storia italiana, una storia cioè che termina nella censura, nella repressione, nell'ateismo e, in sintesi, nel totalitarismo.
Come molti di voi sapranno mesi or sono intrapresi una collaborazione con il giornalino “Banlieue”, organo diffuso dall'omonima associazione culturale. Chi mi conosce lo sa, io sono cocciuta e per raggiungere i miei obiettivi di evangelizzazione sono disposta a tutto e non sto parlando di rovinarmi lo smalto delle unghie... quindi accettai la collaborazione nonostante gli altri redattori del giornalino fossero palesemente comunisti. Il mio obiettivo era far germogliare un fiorellino cristiano e spirituale nel mare di letame materialista, così decisi - nella mia rubrica - di occuparmi di un tema a me caro: come individuare la presenza di satana nel mondo (conoscerla per evitarla!). Nel corso del secondo numero feci volontariamente alcuni riferimenti agli ARCI come ricettacolo del male, come associazioni assetate di soldi. Se gli ARCI fossero un personaggio di Pinocchio sarebbero Mangiafuoco. Come sapete io ho, come si suol dire, la lingua glabra così, con la veemenza invettivistica che spesso mi contraddistingue, spifferai il nome di un Arci partocolarmente immorale: la Scighera, sita a Milano in via Candiani 121 - zona Bovisa- (inserisco questi dati anche per una questione di motori di ricerca, mi piacerebbe che chi cercasse Scighera su google approdasse a questa pagina). Devo aggiungere che la Scighera era anche l'ARCI in cui l'Associazione Culturale Banlieue organizzava i concerti e dove si ritrovava per le fumose riunioni. A numero stampato ed in distribuzione, quelli della Scighera, vedendosi tirati in ballo nel mio pezzo, diventarono delle furie iraconde e decisero di farmela pagare. Qua sotto vi racconto l'allucinante storia del tentativo di rieducarmi da parte di ARCI SCIGHERA e ASSOCIAZIONE CULTURALE BANLIEUE.


Tutto è cominciato a fine giugno; stavo completando gli studi in vista dell'orale per l'esame di maturità quando ricevo una telefonata da parte di uno dei soci di Banlieue di cui non farò il nome per evitare ripercussioni. “Katia, sei immediatamente convocata all'Arci Scighera per la riunione del kollettivo!”. Quanto mi infastidisce il nome “kollettivo”; ho cercato in tutti i modi di introdurre “chiesa” anche per gli incontri associativi ma non c'è stato niente da fare (ci mancherebbe) allora ho tentato di eliminare la K, così dura da farmi sussultare ogni volta, ma nulla, le mie istanze sono scivolate via dalla ignifuga tettoia del comitato decisionale con “ tante grazie” e pacche sulle spalle. Sono stata trattata come un venditore di rose in un centro sociale: cortesia tanta ma risultati zero. Certo, le K sono solo disquisizioni fonetiche, non gravi ma indicative di un certo modus operandi esageratamente dogmatico, le k sono quadrate come la sinistra che non supera il ponte della storia, sono i carri armati russi nella primavera di Praga. Le K sono come il Vaticano, che si ostina a non adottare i nuovi strumenti del marketing per fare proselitismo perché castrato da logiche obsolete e austere (si legga, di seguito, la mia conversazione con Lina Sotis). Ok, basta cabalizzare sulle K.

Dunque, mi reco all'Arci Scighera perché è lì che eravamo soliti riunirci per discutere sulle linee editoriali del giornalino e su altre questioni, ma trovo la serranda abbassata. Ciò non è particolarmente anomalo viste alcune magagne scoperte in questi templi pagani. Busso sonoramente finché uno dei responsabili mi apre. All'interno del locale il clima è accigliato e c'è un buio tossico e opprimente che invade la stanza come un'ondata di zolfo. “Siediti”, mi ordina qualcuno che non riesco a riconoscere, qualcuno che si cela nelle ombre come uno khmer rosso mimetizzato nella fitta giungla di bottiglie di satanici alcolici. Potrei sorridere, come Tiziano Terzani , ma i miei muscoli facciali sono mummificati dal terrore. Allora mi siedo inturgidita.
Mi spiegano senza troppi mezzi termini che il mio articolo del numero 2 non rispondeva ai canoni, ai diktat, che le mie politiche editoriali non sono state fedeli alla linea, che si può offendere solo chi sta a destra, che l'autoironia è distruttiva, “lasciamola a Sinistra & Libertà”, che trattavo di argomenti-tabù: i soldi. Mai associare gli Arci ai soldi. E giù uno schiaffone. Cerco di spiegarmi, ma mi intimano di tacere “Altrimenti guai”. Così la Scighera è diventata il mio Garage Olimpo.

L'arcipelago rosso degli Arci è pluralista e ricco di sfaccettature solo all'apparenza. E' un enorme protozoo che sta alle direttive dei fantasmi del PCUS, che deve relazionare e resocontare tutto ciò che fa. L'Arci è come se fosse sempre agli arresti domiciliari. Ma anche lì si stanno generalizzando aneliti di capitalismo. Ciò è fatto in punta di piedi, senza dare nell'occhio. Guai a parlarne. Io ho osato e per questo sto ancora spalmandomi il Lasonil sulla faccia.

Francamente non era mio obiettivo offendere, il mio era un invito a pensare più all'opera e meno ai profitti, il mio era un richiamo Francescano ma questi, a quanto pare, non hanno capito. Per loro le parole sono così pesanti da dover essere centellinate, dosate, private di ogni figura retorica, distillate e poi nuovamente pesate, prima di essere messe in commercio, delicate come bomboniere Swarowsky. Quando cerco di spiegare che Gesù argomentava con parabole mi arriva un manrovescio così forte da farmi perdere i sensi.

Mi riprendo che sono frastornata e dal naso mi esce un fiotto di sangue; mi chiedono se voglio dell'acqua. Impaurita annuisco. Bevo da una bottiglietta e sento in bocca un fastidioso sapore di elementi corpuscolati. Vedo che uno dei ragazzi dell'Arci ha il mio portafoglio da cui sfila un euro. E non batte lo scontrino. “Cosa ne facciamo di questa zoccola?” “La rieduchiamo!” è stata la risposta secca, detta così come l'ho scritta. In corsivo. E tutti giù a ridere come dei diavoli sbronzi a cui viene raccontata una barzelletta particolarmente sconcia.

Qualche giorno dopo mi sono trovata a Goli Otok, in un ex campo di rieducazione su quest'isoletta della Croazia a Sud di Krk. Veniva usata tra il 1948 e il 1956 per la reclusione dei dissidenti politici, per i cosiddetti cominformisti legati a Stalin dopo la rottura tra l'Urss e la Yugoslavia di Tito. Ora è un isola semi-abbandonata e battuta dal vento. Sono stati quelli dell'Arci Scighera ad indirizzarmi lì, accompagnata da alcuni soci di Banlieue incaricati di seguire la procedura. Loro hanno vissuto questo viaggio come una vacanza, si erano portati dietro la settimana enigmistica, alcuni giochi da spiaggia, il coccodrillo gonfiabile e ventagli di struzzo. Invece per me è stata una dolorosa discesa negli inferi dello shock psicologico e anafilattico. Tutto il viaggio rieducativo è stato finanziato dall'Arci Scighera che, riunito in collettivo, ha deciso di investire denaro affinché il processo rieducativo nei miei confronti potesse portare giovamento al circolo. Questa spesa extra degli Arci lascia intendere che un po' di soldi per le opere, per consolidare la cultura di sinistra, vengono messi in circolo. Non si tratta solo di far concorrenza ai pub e locali fashion con cocktails e aperitivi sontuosi e colorati, non tutto finisce esentasse nelle tasche dei gestori, come annunciava l'inchiesta de Il Giornale troppo volta ad infangare. La verità è che una discreta quota degli introiti viene spesa per attività kulturali e di promozione della cultura di sinistra. La mia rieducazione faceva parte di queste. Comprando una birra a 5 euro avete finanziato il mio soggiorno rieducativo a Goli Otok. Ragazze, se la prossima volta andate a bere un drink in Corso Como mica mi offendo.

Sono pochi quelli che sanno (penso che nemmeno Franceschini ne sia al corrente) che questa ex isola del terrore viene tuttora utilizzata per delle rieducazioni lampo di eretici che si sono distaccati dai dogmi del marxismo leninismo. Nell'isola, completamente al di fuori dei circuiti del turismo croato, c'è una sezione degli ARCI e dei Marxisti leninisti. Sono uffici delocalizzati donati nel 2000 dalla Croazia al governo D'Alema. Un modo per chiedere scusa per i 150 italiani deportati e torturati nei bui anni del regime titino. Arci e Marxisti Leninisti, uniti per la bisogna, utilizzano il campo per “rivitalizzare” membri che si stanno allontanando dall'ortodossia. Spesso si tratta di ex sostenitori sempre più dubbiosi delle fondamenta del loro credo, di soci che si stanno ponendo questioni sulla propria scelta di vita. A Goli Otok vogliono “aprire gli occhi ai compagni che sbagliano”. Vi anticipo subito che, nonostante la coercizione esercitata su di me, sono rimasta cristiana-evangelica. Noi donne abbiamo un'innata capacità embriogenetica. Che siano ideali o uova fecondate noi difendiamo fino allo stremo delle forze i nostri prodotti, culturali o fetali, questo non importa.

Questi due gruppi hanno un piccolo ufficio localizzato nel corpo centrale della struttura. Poca roba, c'è un responsabile, un telefono, un computer un fax, qualche poster di Mao e di Pol Pot. L'ufficio è scarno ma austero; c'è qualche stanza per gli accompagnatori mentre i rieducati devono dormire nelle scomode celle un tempo utilizzate dai cominformisti. Non ci sono torture e l'alimentazione è più ricca di calorie della dieta che seguo da qualche anno; la mattina ed il pomeriggio corsi di indottrinamento e musica impregnata di messaggi subliminali. “Dio non esiste”, mi dicevano; “l'unica realtà è la materia”; recitavano slogan che ricordavano molto le nostre preghiere; il loro mantra era a base di Marx, la loro ginnastica regolata da pugni chiusi e braccio sinistro con una muscolatura più marcata, direi asimmetrica.

Conoscere l'altro conduce a riflessioni su se stessi, porta ad imprevedibili confronti e parallelismi tra noi e loro. Ci sono così tante differenze tra me, cristiana evangelica e loro, marxisti leninisti? Non siamo forse come due tifoserie avversarie che in fondo non si rendono conto di seguire lo stesso sport? Perché ero così diversa da loro? geni, socializzazione? Dio? Perché la nostra ricerca divergeva incommensurabilmente? Forse bisognava solo aprire la mente e pensare ad un ecumenismo radicale. I cristiani ed i marxisti leninisti, tutti insieme uniti a pregare sotto lo stesso tetto, sotto la stessa tenda colorata dall'arcobaleno. La speranza di tutti è un mondo migliore, perché le strade per ottenerlo devono essere così divergenti? Le riflessioni mi assalivano come meteore in un videogioco spaziale o come peli sulle gambe in un mese senza ceretta. Mentre sotto torchio cantavo l'Internazionale mi rendevo conto che per seminarmi nel petto il seme del marxismo leninismo avrebbero dovuto bonificare tutte le mie credenze, mi avrebbero dissodata, poi avrebbero fertilizzato il terreno per, infine, re-immettervi qualcosa di nuovo. Piante i cui semi avevano nomi bislacchi come depauperamento, dittatura del proletariato, coscienza di classe. Ma il concetto di transustanziazione forse non è altrettanto ridicolo?
Capite quali erano le mie sensazioni? Dopo 40 metaforici giorni nel deserto stavo cedendo alle lusinghe di Satana, stavo cadendo nel pozzo del relativismo in cui bene e male sono sovrastrutture quindi non è richiesta la presenza di Dio.


Da buona evangelica non amo il Vaticano, con le sue stalagmitiche mitre, i luccicanti anelli dorati su dita artritiche. Odio i porporati che si barricano dietro l'armatura dell'infallibilità e con essa nascondono le perversioni più abiette. Eppure, come il Vaticano, temo il relativismo perché è il terreno idoneo al sorgere del male, fertile per l'avvento dell'anticristo. Io in quella settimana di rieducazione ci stavo cadendo. Ero una pera subissata dai raggi uva del marxismo, cotta in un microonde leninista; i miei pori si aprivamo ed aspiravano credenze rosse e malsane. Per voi, lettori, forse è difficile capire i meccanismi della rieducazione. Partire con una convinzione per passare ad un'altra. uscire puliti come dall'autolavaggio. Nella prima fase si resta ancorati ai propri credo originari, poi la mente poco alla volta cede, la stanchezza fa la sua, si diviene sempre più deboli, psicologicamente friabili, ed il dubbio di essersi sempre sbagliati giunge come un inatteso tradimento.

Sono stata lì lì per cedere, per cadere in tentazione, ma la mia fede è stata più forte. E nel mio cielo c'è spazio per un unico sole: Dio.

Poi tutto è finito. Una barca ci ha riportato a Krk e da lì, in macchina sino a Milano, giunta in tempo per l'orale dell'esame di maturità e per questa interessante discussione con Lina Sotis in cui si riflette su un fenomeno che riguarda tutti: la secolarizzazione della religione e le sue cause. Tra questo post e l'intervista trovate alcune vignette di solidarietà (che potete richiedermi inviando una mail a intimamentekatia@gmail.com)che ho ricevuto da alcunidisegnatori italiani che hanno deciso, rimanendo anonimi, di sostenere la mia causa contro gli Arci e la censura.
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