Un tè con Lina Sotis


Sig.ra Sotis, non si immagina che piacere intervistarla, qua, a casa sua, a Brera, nell’ombelico della Milano che conta. Poi è la prima volta che vedo una piscina nel salotto, per di più con questi magnifici fregi... che lusso, che alta classe…

Grazie Katia, il merito dell’arredamento interno è soprattutto di Marco (l’attuale marito n.d.r) . Devo dire, guardandoti, che sei proprio un bijou, ero molto curiosa di sapere come ti vesti nella vita di tutti giorni, ti avevo vista solamente attraverso delle foto, con quei sexy completini succinti e volgarucci, ma chi ti ha insegnato a sedurre così, Britney Spears? Ora indossi una gonnellina veramente splendida, l’ombelico di questi tempi va mostrato, mica bisogna fare la madamina… lo dico sempre alle adolescenti: Mostrate l’ombelico!


Sa Lina che questa gonna l’ho acquistata al mercato, non le dico il prezzo, perché in mezzo a queste cristallerie, arazzi, intagli… sedute su queste sedie antiche tra musi di cervo e trofei alle pareti… un po’ mi vergogno di umiltà..

Katia, ti voglio svelare che anch’io faccio le spese al mercato, si può ripescare l’usato senza per forza essere vintage, poi, ogni tanto, mando un garzoncino di fiducia a far incetta di indumenti nei cassonetti che ci sono in San Marco… ci trovi cose très jolie, pensa che sono stata al ricevimento di Emanuele Filiberto con abiti raccolti così e ritoccati leggermente dalla mia sarta, ho fatto un figurone!


Ma cosa mi dice Lina, questo è il primo scoop… “Lina Sotis al mercato!”, e questa degli abiti trafugati ai poverelli?!

I poverelli, come li chiami tu, sono così perché non hanno senso del gusto, non hanno stile, non sanno apprezzare il Bello; nei cassoni trovi abiti che loro non valorizzerebbero, e allora tanto vale toglierglieli, scusa la franchezza.


Lina, anche se una sua specialità è trasformare il futile in dilettevole, vorrei fare un intervista seria; i lettori e soprattutto le lettrici della mia rubrica “Les cahiers de Katià” sono molto esigenti e si aspettano un certo tipo di domande che spaziano in ogni campo dello scibile.

L’idealismo dei tuoi 18 anni fa pendant con quel cuore spezzato che porti al collo.


L’altra metà ce l’ha il mio Angelo, non sa quanto gli voglio bene!

Che teneri che siete, forse la tua generazione mocciana ha qualcosa di, come dire, esteticamente estatico, sì, ha un fascino adorabile… anche gli emo, così curati nonostante il disgusto per la vita, così jolis desperados, i punk finiranno nel dimenticatoio delle subculture a marcire insieme alle loro sudice magliette violentate da scritte di pennarello!


Non ho niente a che fare con gli emo, io amo la vita e soprattutto sento che ho una missione da compiere, questo mi tiene attiva e lontana da nichilismi e autodistruzioni. Lina, vorrei sapere innanzitutto qualcosa sul suo passato, lei sul finir degli anni 70’ è stata assunta al Corriere della Sera “con una spinta degli americani”, ora che va per i 65 anni ci può finalmente raccontare come sono andate le cose…

D’accordo, ma non ho fatti sconvolgenti alla Günter Grass sul mio passato. Ci trovavamo in un momento cruciale, una fase della guerra fredda in cui la paura della risoluzione di quell’accumulo di tensione con un conflitto armato allarmava un po’ tutti; gli americani dovevano mantenere l’Italia dalla loro parte della cortina, senza se e senza ma, allora “rapiscono” me, giornalista in erba e mi addestrano a plasmare il gusto, poi mi piazzano in una posizione di potere…nel più importante giornale italiano, avevo poco più di trent’anni.


È proprio per questo che volevo intervistarla. Pensi che a giugno gli Arci mi hanno deportata a Goli Otok sperando di rendere Banlieue più di sinistra ma io resisto signora Sotis. E mi spiace che questa parola sia diventata monopolio della sinistra...Io resisto cristianamente. Ma a proposito di rapimenti, in quegli anni ci fu anche quello di Moro.

Naturalmente anche lì c'entrava la CIA … Si trovava insostenibile il cosiddetto Governo della Solidarietà nazionale con l’appoggio del Partito Comunista. Ora, credo che anche tu che hai diciotto anni sai quanto la Democrazia Cristiana abbia da ringraziare gli americani del suo successo, non solo con gli aiuti di Marshall, anche dopo, fino a tangentopoli, bomba, tra l’altro, fatta scoppiare abilmente dalla mano invisibile della CIA che voleva un ricambio nella classe politica al potere. È dagli USA che è arrivato l’ordine di non trattare con brigatisti e di lasciare che le cose andassero come poi sono andate, “Moro è un traditore, vuole fare combutta con i comunisti”.


È in America che ha imparato a direzionare il gusto delle masse?

Sì, mi ci hanno portato un po’ con la forza, però poi mi hanno offerto una valanga di dollari, ed io volevo un tenore di vita agiato, tra ori e yatch col mio primo marito; lì ho imparato a convincere la gente che il gusto occidentale, che il capitalismo è meglio, più cool; come ti dicevo è stato grazie agli americani che mi sono trovata al Corriere della sera, editorialista nella sezione costume e società, così, dal nulla, senza un’esperienza pregressa, lì ho seguito alla lettera i loro preziosi insegnamenti… se non abbiamo scelto il PCI, quindi la Russia, è anche merito mio... (ride).


Pensa veramente di essere stata l’ago della bilancia tra Usa e Urss?

Katia, ti dico una cosa: negli anni successivi l’Italia ha fatto scelte importanti, tipo aborrire l’intervento dell’Unione Sovietica in Afghanistan. Dire che le lavatrici sovietiche sono sciatte e rumorose o che la Dacia consuma molto e non è sicura, è una presa di posizione che, nel suo piccolo, contribuisce ad instradare il sentimento collettivo, la percezione…ciò detto da una opinion leader come me, sul più importante giornale italiano… ora è tutto nelle mani della televisione, ma un tempo non era così… un po’ come scrivere, nel 66’, in piena Rivoluzione Culturale, che le guardie rosse sono vestite senza stile, tutte uguali; stiamo parlando alle masse che vogliono emergere, la gente di questioni geopolitiche non capisce nulla, e allora sono questi aspetti che plasmano la coscienza, esteriorità che gli intellettuali considerano becere, superficiali… se si parla di un vestito orribilmente demodé di Breznev, ecco, contribuisce di più a far percepire la realtà in un certo modo, cioè che la Russia sta nel torto, quest’affermazione che descrivere la sua politica di distensione nei confronti degli Usa, incomprensibile per l’uomo della strada, mediamente ignorante.

Poi, fare la giornalista nei cosiddetti anni del riflusso, quando la discoteca prese posto della manifestazione di piazza come luogo di aggregazione e di sviluppo della coscienza sociale, ci si rese conto che piazza voleva dire svolta a sinistra, in sostanza con la Russia; allora dovevamo spingere i giovani a stordirsi nelle discoteche, io ho lavorato per la diffusione della weltanschauung reaganiana, ho contribuito a costruire la futile ideologia della Milano da bere. Spesso, rileggendo i miei articoli di quegli anni, mi rendo conto del mio stratosferico apporto e me ne compiaccio, posso considerarmi una maestra occulta del 900’?


Mi spieghi una cosa. Adesso che la guerra Fredda è finita perché vuole ancora personificare questo ruolo che non ha più senso, non è come un vestito stretto, che quindi va buttato? O almeno riadattato alla nuova corporatura.

Alla nuova corporat-ion vorresti dire (ride). E’ qua che ti sbagli, cara Katia, il lavorio dell’America per restare potenza suprema, per mantenere “il mondo che conta” dalla loro parte è continuo e indefesso. Mentre in Russia dal 91’ sono esplose rivoluzioni di velluto, sollecitate dagli americani, qua si usa il velluto farci stare dalla parte della NATO, in altri modi direi… con poltrone di velluto (ride). Ora mi spiego meglio: dagli Usa riceviamo la cosiddetta circolare in cui si chiede di, che ne so, fomentare nelle masse odio verso gli arabi. Il mio compito è lavorare sull’inconscio; basta dire “a Teheran i cioccolatini hanno sempre la carta attaccata” oppure “lo chador sposta l’attenzione degli uomini sulle borse sotto gli occhi”… la gente non se ne rende facilmente conto, ma il cervello in risposta a questi stimoli agisce in un modo chiaro e univoco. “Gli arabi sono out, non voglio avere niente a che fare con loro!”


Dunque lei ha fatto anche studi di psicologia?

Tutti i miei articoli, anche le brevi boutade che pubblico giornalmente sul Corriere sono frutto di calcolo immenso, pure le singole lettere che compongono le parole che utilizzo sono studiate a lungo, è dimostrato che ci sono aggregazioni di caratteri, fonemi, che richiamano l’America, altri la Russia; nel mio nome LINA SOTIS, compare anagrammato “SI’ SI’ NATO”, è filoamericanismo sub-liminale.


Pensa che la comunicazione religiosa abbia ancora molta strada da percorrere prima di arrivare ad essere realmente efficace?

Il problema della religione è che si trova a vendere qualcosa di poco appetibile: In una società edonistica l’aldilà, tra la gente, diventa meno di un bisogno secondario; quando la merce in gioco è poco stimolante la comunicazione gioca un ruolo di primo piano, il prodotto viene praticamente dimenticato, tutto si concentra sul messaggio. Come fare una pubblicità per l’olio di ricino? I gruppi evangelici, in particolare quello di cui so che fai parte, sono abilissimi. Si capisce che hanno appreso dagli americani. Sono recentemente arrivata alla conclusione: ridurre tutto a spot, questa è la comunicazione del nuovo millennio. Per questo sul Corriere non scrivo articoli più lunghi di tre righe.


Mi può fare un esempio pratico?

Certo Katia, tu come spiegheresti l’immutabilità di Dio?


Beh, mica facile, diciamo che tutto il creato è mutevole, noi siamo mutevoli, caduci; posto questo il creatore deve necessariamente essere qualcosa di increabile, qualcosa di increato, di preesistente…

Io direi. TUTTO CAMBIA, DIO RESTA, non è più efficace? Proviamo con un altro esempio, come spiegheresti che Dio è unico, non un dio tra i tanti?

Beh, citerei il primo comandamento, non so, direi sintetizzando che è solo uno che può governare la moltitudine, che non ci possono mica essere due o più enti ugualmente primi, perfetti, perfettibili, si cade in una contraddizione, in uno scacco...

Io direi: DIO E’ UNICO, STATE LONTANI DALLE IMITAZIONI.


Lei è molto saggia Lina, mi sta regalando delle nozioni di marketing cristiano impagabili!

E’ che gli americani sono dei maestri nella semplificazione, guarda il cinema, la letteratura; ti descrivono un’America che anche la casalinga può comprendere, la loro è una poesia della semplicità, senza troppi giri di parole, artefatti linguistici, ermetismi, francesismi, tedeschismi.

Dimmi una cosa, tu credi veramente che sia scientifica la dimostrabilità di Dio?, ma come fai a convincere un profano di questo, prendi concetti astratti, dissertazioni, citazioni, ragionamenti complessi; invece è dallo spot che si impara, lo spot, come t’ho già detto, è la comunicazione del nuovo millennio: politica, religiosa, sentimentale, che infatti avviene con gli sms. E’ più facile che convinci Angelo a sposarti con cinque parole giuste e un paio di emoticons piuttosto che con un ginepraio di argomentazioni, che con delle perifrasi... lo spot è amore ridotto ai minimi termini, arriva dritto al cuore come la freccia di Cupido.


In effetti noi del Ministero di Sabaoth siamo ben consci di questo, ma a volte mi chiedo: trasformare Dio ed il suo insegnamento in uno slogan non è, a lungo andare, dannoso?

Credo di no Katia, anzi, credo sia un circolo virtuoso; se credi fortemente alla causa non ti interessa il mezzo per raggiungerla. Nel mio caso… guarda che casa!

La ringrazio signora Sotis, la sua è stata una lezione non solo di giornalismo, ma anche di vita.


Prego Katia, vai pure per la tua strada.