prima lettera a Mary

Mary, amicona mia, l’altra sera, finito di guardare il nostro dvd, mi hai detto: “Raccontare la tua esperienza permetterebbe ad altri di evitare di cadere nei tuoi errori!” Io ci ho pensato tutta la notte, sai che di te mi fido un fascio e se mi dai un consiglio questo non entrerà certo in un orecchio per uscire dall’altro, come si suol dire.

Per decidere come utilizzare questa testimonianza mi affido ciecamente a te, anche se non hai passato quello che ho passato io, anche se la tua vita sembra che sia scorsa liscia come l’olio, senza momenti di disperazione; anche se la tua vita sembra protetta da un’impenetrabile corazza che la difende da virus patogeni.

Ammetto di scrivere anche col fine di ordinarmi le idee, così che un giorno potrò raccontarlo a coloro che da questa testimonianza ne trarranno della fruttuosità.

Mi chiamo Katia e ho 18 anni; dico questo per la storicità. Era la fine dell’estate di due anni fa, per un momento mi soffermai ad osservare la pioggia che scrosciava nel mare, era proprio un acquazzone da paura e mi chiedevo: cosa diavolo se ne fa il mare di altra acqua? È più o meno da questo pensiero innocuo che è cominciato tutto, anche se già in me germinava qualcosa di diabolico e quell'immagine forse l'ha reso tangibile nella mie mente adolescente. Mi sentivo come il mare, io, piena di pensieri, lui (il mare), pieno pesci, voragini, spazzatura abbandonata dagli incivili che vogliono ricoprire il mondo di maleficità. L’acqua sgorgava dal cielo martoriando il mare assorbente, che trae in sé l’altro, e nulla poteva fare per evitarlo.

Tutto ciò che mi era successo precedentemente, nei mesi passati, come pioggia mi riempiva, mi inzuppava ed io mi sentivo esplodere dalle troppe esperienze protrattesi che in me si facevano carne. Praticamente nel mio cielo si è aperto uno squarcio, ed in qualche frammento di attimo non mi sentivo più quella teen ager fringuellina che scrive le k al posto delle c. Mi sono sentita maturata e sola, abbandonata da tutti, impaurita nella mia unicità. Un pezzo originale disperso nel mosaico della abbondanza degli uomini; individuata e infelice.

A casa né la mamma né la nonna si preoccuparono di questo mio cambiamento repentino, nemmeno loro; solo una sera la prima di queste disse: “Sarà innamorata!”. Come si sbagliava, come non aveva capito che la sua figliola era cambiata. Lontane come la luna e le stelle, ecco cos’erano!

In quel tempo a scuola avevo difficoltà relazionali con i compagni e prendevo voti bassi; non ero, come si suol dire, la cocca delle maestre. I ragazzi che mi piacevano uscivano con le altre, ed io credevo che questo fatto fastidioso fosse dovuto all’evidenticità, che fossi brutta e medesimamente troppo complessa per essere compresa dalla loro mentalità primitiva. Ero un pesce fuor d’acqua, una carcassa di una balena dimenticata nel deserto.

Su consiglio degli insegnanti che mi vedevano poco integrata, la mamma mi mandò da una psicologa, ma questo contribuì a farmi sentire ancora più malata e problematica, diversa dal branco dei miei coetanei così apparentemente sicuri di sé. Anche la consapevolezza che tutti avevano altri fini, con me, mi turbava un casino. Tipo che i ragazzi, alla fine, volevano solo limonare o peggio ancora; gli anziani ambivano solo a toccarmi il sedere o le tette; le compagne uscivano con me perché accantomi si sentivano complessate di superiorità.

Stavo cadendo in un baratro di solitudine e di negatività, il mio cell. se ne stava sempre silenzioso tanto da farmi dimenticare la segreteria polifonica che avevo scaricato da internet, la mia casella di posta elettronica era ancor più poco frequentata e medesimamente non avevo nessun pen friend che epistolasse con me. Ero perennemente tesa, nervosa, talvolta trattavo male la mia nonna, poverina, che ora è decessa, ma a quel tempo mi voleva tanto bene anche se era malata di senilità.

Mica ero cattiva, Mary, stavo semplicemente male, malissimissimo. Mi capisci?

L’unico ripostiglio in cui rifugiarmi era il sonno, il dolce sonno. Gradualmente iniziai ad avere difficoltà ad addormentarmi e quando invece ero abbracciata da Morfeo, il dio del sonno secondo la cultura paganistica, facevo incubi terrificanti, che qui non voglio descrivere.

La mamma, che iniziava ad essere preoccupata, mi portò allora da un neurologo che mi prescrisse, senza troppi stupimenti per il mio malessere, delle medicine con proprietà calmante che mi rimbambivano e mi stordivano che quando andavo a scuola sembrava che fossi drogata, ed un pochino mi sa che lo ero. Devo anche dire questa brutta cosa: volevo morire ed i miei pensieri spesso approdavano all’idea di suicidio.

Comunque, è proprio in questi periodi di atroce difficoltà che si è vulnerabili e, fondamentalmente, soggetti agli attacchi di satana. Questa però è una cosa che ho capito parecchio tempo dopo. Il diavolo è camaleontico, multivariabile, ti attrae con le lusinghe dell’integrazione sociale, della sicurezza, della bella vita, del girare su una macchina fiammante, con un Daniele Bossari come driver, così da non dover più tornare a casa con i mezzi pubblici insieme ai vecchi sbavosi che viaggiano solo per poterti inavvertitamente tastare.

Praticamente è in quel periodo tenebroso che conobbi Gianluca Longhi. Eravamo tutti e due in coda dalla psicologa; ricordo bene che ero un po’ emozionata quel giorno poiché dovevo fare il test di roseach, o qualche nome del genere. La trepidazione era dovuta al fatto che, secondo i miei pareri di quell’epoca, questo test scientifico avrebbe definito la quantità di pazzia insita in me. Stavamo tutti e due aspettando che la dottoressa terminasse con l’utente avanti noi e questo Longhi, che era nettamente più anagraficamente maturato di me, mi guardo negli occhi e disse: “qua ci vogliono lavare il cervello, ti va di scappare?”. Senza aspettare una mia risposta che accreditasse o meno la sua richiesta, mi prese con una certa virgultuosità l’avambraccio trascinandomi fuori da quella sala d’attesa. Io, ma questo mica lo dissi, non ero tanto in ansia perché ci stavano lavando il cervello, anzi, viste le premesse condizioni già enunciate precedentemente in questa testimonianza, io ero lì proprio per farmi lavare il cervello, per far sì che diventasse candido e scevro da tutte le sporcizie neurologiche che mi rendevano infelice e disadattata. Comunque sia accettai con gioia il suo allettante invito coercitivo di fuggire assieme. Così conobbi il Longhi, in questo momento di somma difficoltà della mia vita, e all’inizio ebbi proprio dei momenti di felicità che percedentemente non avevo avuto la fortuna di vivere; un raggio di sole mi aveva irradiato di ioni gioiosi e la vitamina b12 sciolto la disperazione nel bicchiere d'acqua della vita. Ma non voglio parlare di questo anno della mia vita che in origine fu eccezionale, il male ti fa diventare dipendente a lui e, come già dicevo, il diavolo sa come esserti fondamentale, lui è esperto in questo, è un professionista laureato nel diventare la cosa più importante della tua vita, il sale della tua terra, la patella del tuo scoglio, solo che poi, una volta che si è impossessato di te fa come l’acido muriatico che ti corrode. Longhi mi aveva portato sulla cattiva strada, mi aveva fatto conoscere le tentazioni; io ero come manovrata da una locomotiva invisibile e così non mi accorsi che mi stava portando nella direzione della perdizione, quella da cui, praticamente, non c’è ritorno. Insieme alle attività peccaminose e scellerate, in quel momento cominciai a bere alcolici e a fumare sigarette e non solo; talvolta assumevo addiruttura qualche droga che non voglio nominare per paura di ripercussioni legali da parte della polizia. Questo periodo, se servirà a salvare anime, lo racconterò, ma dovrò proprio sforzarmi perché sto cercando di rimuoverlo, tanto fu funesto.

Infine se ne andò, sparì. Mi scrisse un sms “Ero stato solo di passaggio, è stato bello. Saluti”. Poi non si fece più sentire, ignorando le mie insistenti chiamate sul cell. A questo punto la depressione mi scoppiò addosso come un ordigno nucleare. Ero egualmente sola e, ancora più di prima di quell’anno maledetto, i miei pensieri erano rivolti completamente al suicidio ed alle tecniche per una scientifica applicazione di esso; per calmarmi divevo prendere ogni giorno diverse scatole di ansiolitici.

Poi Dio entrò nella mia vita. Tramite una ragazza che incontrai per la strada e a cui raccontai tutto il mio malessere ebbi accesso ad un gruppo di preghiera, dove però si faceva anche dell’altro oltre a pregare, tipo discutere dei problemi di noi ragazze e ragazzi. Mi fu regalata la Bibbia e un giorno ebbi la sensazione empirica di un mantello che mi copriva; percepii che lo Spirito Santo stava scendendo su di me, percepii la Verità. Si può leggere la Bibbia, ma se non si è disposti ad accogliere Dio quelle sante parole appaiono vacue; se invece si è disposti ad accogliere dio quelle parole germinano in te e ti rendono una persona migliore, sono come granelli di senape a crescita rapida.

Mary, cara, questa è la mia esperienza, potrei descrivere quanto sono felice adesso di avere un gruppo che mi accoglie e che mi vuole bene, che mi aiuta ad affrontare le torrentuose strade della vita, che mi aiuta a identificare la strada nei momenti di notte dell’anima. Inoltre vorrei anche parlare con il predicatore e magari fargli leggere questa mia testimonianza. Ora ho gli occhi stanchi e andrei volentieri a dormire. Di per certo non avrò difficoltà ad addormentarmi.

Kisses

Katia